VITA
(solo per ingegneri)
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Al termine di un percorso lungo il quale molti si erano arresi, mi sono laureato in Ingegneria Civile con un punteggio
discreto, data la Facoltà, e mi sentivo orgogliosamente in grado di affrontare qualsiasi sfida che mi avesse proposto il
mondo del lavoro. In fondo avevo affrontato l’Analisi Matematica, la Geometria, la Fisica, la Chimica ed avevo dunque
acquisito delle vaste conoscenze scientifiche di base; avevo poi conquistato solide competenze tecniche studiando
l’oscura Meccanica Razionale e poi la Scienza delle Costruzioni, la Tecnica delle Costruzioni, l’Idraulica e le Costruzioni
Idrauliche, la Geotecnica e la Tecnica delle Fondazioni. Tanti altri esami avevano poi affinato la mia formazione.
Non avevo assolutamente capito, purtroppo, che l’Università era stata tanto prodiga di istituzioni teoriche quanto
avarissima di competenze pratiche. Appena ho cominciato a lavorare ho scoperto che tutto il mio bagaglio di
conoscenze era sistematicamente incompleto ed ogni volta che andavo a cercare spiegazioni nei libri che avevo
studiato, per trovare risposte a problemi che mi si ponevano nella pratica, non trovavo mai risposte adeguate.
La scelta più facile sarebbe stata quella di esercitare la professione come un “generalista”, cioè uno che sapeva di tutto
un po’ ma poi doveva o improvvisare o ricorrere agli “specialisti”. Ho scoperto, in quel periodo, che alcuni pensavano
addirittura che la situazione fosse il risultato di uno specifico intento di chi possedeva le conoscenze e cercava di
tenerle per sè, per godere di una “esclusiva” competenza in certi ambiti.
Forse era una esagerazione e comunque, un po’ per curiosità, un po’ per orgoglio, ho sempre scelto di andare fino in
fondo nell’affrontare i problemi che incontravo. Così ho cominciato un lungo percorso di “assemblaggio” di conoscenze,
vagliando testi ed esperienze altrui e confrontandomi con altri colleghi che non fossero troppo gelosi del loro piccolo o
grande sapere. La strada per coniugare la teoria e la pratica è stata comunque laboriosa e non priva di ansie.
Quando ormai pensavo di essere arrivato in fondo, mi è capitato di chiedere un consiglio ad un Ingegnere che era un
luminare nel calcolo di particolari strutture. Questo Ingegnere, dopo avermi cortesemente risposto - si trattava di un
contatto telefonico - mi ha chiesto se ero un giovane ingegnere o un esperto ingegnere. Gli ho risposto che lavoravo
ormai da più dieci anni e non sapevo bene come qualificarmi, ed a questo punto lui ha sentenziato “..allora lei è ancora
un GIOVANE ingegnere!”. All’inizio ci sono rimasto un po’ male, ma, a distanza di tanti anni, posso tranquillamente dire
che in fondo aveva ragione: non si finisce mai di imparare.
Scoprire che leggere un disegno tecnico non è una competenza così diffusa tra quelli che quel disegno lo dovrebbero
maneggiare, che la mezz’ora di tempo dedicata a decidere se usare una barra di armatura di un diametro piuttosto che
un altro e la sua posizione esatta è stata del tutto inutile, perché in cantiere non avevano la barra giusta e ne avevano
usate un paio che avevano lì per terra; che l’Rck del calcestruzzo può essere scambiato con il dosaggio di cemento;
che la pendenza non serve perché tanto “….l’acqua fa liveo…” o che “..un alto e un basso fa un guaivo…”; che quelli
del magazzino edile non hanno trovato la trave IPE 160, anzi secondo loro non esiste proprio ma invece hanno una
“… potrea da sedese…”; che tra l’acciaio FE 360 e quello Fe 430 “…no ghe se differensa, el fero sé sempre fero…”;
che se si è disegnato un dettaglio, quello non è mai il modo giusto in cui deve essere fatto; che il muratore sostiene che
ha sbagliato l’idraulico secondo il quale è colpa dell’elettricista che accusa il pittore che se la prende con il
serramentista, ma alla fine è sempre e comunque colpa tua; che è d’uso citare “LA NORMA” come argomento dialettico
conclusivo di una discussione senza sapere minimamente cosa la norma dica veramente, tutto questo all’inizio è
traumatizzante ma un po’ alla volta ci si abitua e non ci si fa più caso.
Certi episodi però, soprattutto nei primi anni, rimangono impressi.
1) La torre medievale
Primo giorno in studio. Vengo accompagnato in sala disegnatori dal Titolare e mi viene mostrata una pianta che un
geometra stava disegnando su un tavolo da disegno (con il rapido, il CAD doveva ancora arrivare). Si trattava della
pianta dell’interrato della sede di una banca in pieno centro storico. Osservando il disegno riconosco una forma nota e
me ne esco con una esclamazione “Ma questa è la pianta di una torre!”. Gelo nella sala, il Titolare mi zittisce :“Macchè,
quello è il caveau!”. Arrossisco violentemente e non parlo più. Ho continuato per giorni a darmi del cretino per la figura
fatta: perché non avevo tenuto la bocca chiusa? Come potevo pensare, io pivello inesperto della professione, a
pensare di capire qualcosa a colpo d’occhio?
Circa un anno dopo, quando i lavori erano già cominciati da un po’, il Titolare, rientrando dal cantiere, ha raccontato
che avevano fatto una scoperta incredibile e cioè che il caveau era stato ricavato dalla torre medievale del palazzo.
Nessuno, ovviamente, si ricordava dell’intuizione di quello sbarbatello…..
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2) La prima volta: la scala del Black Baron
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Non riuscivo proprio a dormire. Perché non avevo riguardato gli appunti di Tecnica prima di consegnare il disegno della
scala? Come mai avevo scelto proprio quello spessore? Ma dove avevo letto che l’acciaio resisteva a trazione e il
calcestruzzo a compressione? Non avevo fatto mai la benchè minima prova: come facevo a fidarmi? E i carichi, poi, da
dove li avevo tirati fuori? I vincoli: era giusto il semplice appoggio? Con questi tormenti, la mattina dopo ero andato in
cantiere, dopo che il giorno prima l’Impresario mi aveva detto che avrebbe disarmato la scala costruita sulla base dei
miei calcoli.
Cercando di non dare a vedere la mia inquietudine, ho chiesto distrattamente all’Impresario come gli sembrava la scala.
“Co tuto chel fero, ingeniere, ea stava su da soea, e po’, ghe so salio mi, vol dire che porta tuto!”Che sollievo:
l’impresario era una montagna d’uomo: quando veniva in studio, bastava si posasse con un pugno su un angolo della
scrivania, che cominciava a scricchiolare tutta dando l’impressione di essere sul punto di rompersi. Sono tornato in
studio saltellando: era la prima volta che veniva realizzato qualcosa sulla base di miei calcoli.
Esattamente vent’anni dopo, per puro caso, sono ripassato per quella scala, solida oltre ogni immaginazione, ora direi
anche sopradimensionata, ma l’ansia di quella volta me la ricordo ancora benissimo.
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3) L’ultimo ritrovato dei metodi computazionali: il Cross
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Ero da poco in studio, quando si presenta da me il geometra più bravo, che stava seguendo un lavoro in centro storico.
Mi espone il problema di verificare la stabilità di un loggiato su tre piani appoggiato alle estremità a delle murature e su
due colonne intermedie. Il geometra mi aveva parlato di travi e colonne, lo schizzo corrispondeva perfettamente ad un
telaio e così, tutto eccitato, vado a tirarmi fuori gli appunti di Tecnica relativi al Cross e che finalmente potevo usare per
qualcosa di pratico.
Determino i carichi, applico la procedura, lavorando tutto il giorno per fare una montagna di calcoli. Alla fine, al
momento di fare le verifiche, vado a chiedere al geometra come erano armate le strutture: “Ma quali armature? Le
colonne sono di pietra e le travi di legno!”. Ma allora…. i nodi non erano nodi, quello che avevo calcolato…. non era
affatto un telaio nella realtà. Bastava usare i semplici schemi di travi in semplice appoggio e delle colonne incernierate
agli estremi: altro che Cross!
In effetti il Cross, su cui tanto avevo penato all’Università, non l’ho mai dovuto usare nella pratica professionale: molti
anni dopo ho scoperto che il metodo era stato sviluppato dall’Ing. Cross negli anni ’30 ed era già considerato obsoleto
negli anni ’60, ma io ho frequentato l’Università negli anni '80 e lì, allora, non era ancora giunta questa notizia.
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4) Terminologia tecnica
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“Ma signor R. quel muro è in laterizio, l’ho visto l’altra volta che sono venuto in cantiere”. “Ma no, ingeniere, el se un
muro de piere! E se nol ghe crede, el vegna qua a vedare!”. Poso la cornetta del telefono - ancora niente cellulari, ma
quei ciabattoni azzurri con il disco e vari pulsanti che sbagliavo sempre a premere- e vado in cantiere. “Ecco vede, il
rosso del laterizio: è un muro in mattoni, come le dicevo, non di pietre!” “Ma ingeniere, i vede tuti che questo se un muro
de piere, come queste altre” e prende in mano un mattone pieno. Beh, nessuno all’Università aveva mai spiegato che in
Veneto, il mattone pieno si chiama “piera”…
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5) Ma come si fa la malta?
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“Ingeniere, a go da fare a malta, come se che go da fare?” Era ovvio che l’operaio sapeva benissimo come fare e mi
voleva mettere alla prova, ma stavolta sapevo dare una risposta certa e senza esitazioni: “Deve usare 0,8 metri cubi di
sabbia, 0,4 metri cubi di ghiaia, 300 kg di cemento e 150 litri di acqua!”
“Ma, ingeniere, a mi go da farne na secia!”. Ma porc….
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6) Come inserire un cordolo in un vecchio muro
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Ad Ingegneria, si sa, si studiano raffinatissime schematizzazioni matematiche della realtà. Poi però qualche volta
bisogna andare in cantiere, ed alla prima occasione si scopre che la teoria non è tutto, soprattutto se la persona che
deve eseguire dei lavori che hai progettato si mette in testa di farti delle subdole domande su come fare le cose che hai
previsto di costruire (anche se in realtà lo sanno benissimo, ciascuno a proprio modo).
Nella prima ristrutturazione di cui mi sono occupato, si doveva realizzare un solaio in latero-cemento a sostituzione di un
vecchio solaio in legno. Vado in cantiere e l’Impresario mi chiede come avrebbe dovuto fare ad inserire il cordolo
passante che era indicato nei disegni. In effetti mi ero soltanto posto il problema di farlo, quel cordolo, guardando i soliti
manuali: sul modo di realizzarlo non ci avevo mai pensato, credendo, per la verità, che fosse competenza
dell’Impresario. Mi arrangio, comunque, proponendo la realizzazione a tratti alternati. L’Impresario mi guarda con aria
compassionevole e se ne esce con il solito “Se vent’anni che lavoro, e nessuni mai me gha dito de fare cussì”. “Va bè”,
rispondo, “e lei come ha fatto le altre volte?”. L’impresario, mosso a compassione, mi spiega la sua tecnica, che
approvo subito, domandandomi perché mai nessuno, tra una derivata ed un integrale triplo, mi avesse spiegato questa
pratica soluzione.
Qualche mese dopo si pone lo stesso problema in un altro cantiere con un altro Impresario. Forte delle mie nuove
conoscenze, vado in cantiere, dove l’Impresario di turno mi pone la solita domanda su come fare il cordolo passante.
Espongo con sicurezza la procedura che avevo imparato, e come risultato mi sento rispondere con il solito “Ma schersa,
ingeniere, se vent’anni che lavoro, e no go mai fato cussì, mi go sempre fato....” e mi spiega un altro modo di
procedere. Quella volta ho capito che ogni Impresario si sente il depositario dell’unica tecnica ragionevole per fare le
cose ed ho deciso che a domande simili devo sempre rispondere che facciano come credono, basta che alla fine il
cordolo ci sia!
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7) Il Maestro e la Lancia
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Le mie prime esperienze di calcolo le ho fatte seguendo l’ing. Bela Schvarcz, che tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso
era stato uno dei più quotati calcolatori di Padova. Di origine ungherese, non aveva mai perso l’inflessione della sua
lingua madre, ma era capace di eseguire calcoli a mente in modo velocissimo. Di solito io facevo i calcoli con la
calcolatrice, ma lui arrivava sistematicamente prima al risultato. Per la verità, essendo ormai oltre gli 80 anni, ad usare
la calcolatrice ci provava, ma si lamentava che quella non funzionava, salvo poi emettere oscuri improperi ungheresi
quando si accorgeva che non aveva premuto il tasto “ON”.
L’ingegnere era sempre molto sicuro di sé ed anche orgoglioso della sua auto, una Lancia, di cui un giorno mi aveva
detto che era stata la prima a Padova con l’iniezione atomica. “Ma, Ingegnere”, avevo risposto, “forse intendeva ad
iniezione elettronica”, e lui, dopo averci pensato un attimo, ha risposto “No , no essere proprio prima con iniezione
atomica!”. “Va bene ingegnere, sarà come dice lei….”
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8) Il Geometra e la trave a T
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Avevo progettato la realizzazione di una trave a T, seguendo scrupolosamente tutto quello che avevo imparato
all’Università, impiegando un sacco di tempo per curare ogni dettaglio, studiando per bene l’altezza in modo che sotto
rimanesse tutto lo spazio per la porta prevista sotto la trave. Vado in cantiere il giorno prima del getto e trovo che la
gabbia di armatura era stata posta in opera esattamente a rovescio, con l’ala in basso e l’anima verso l’alto. Chiamo il
geometra che seguiva i lavori in cantiere e gli spiego che la trave era a rovescio: “Ma perché”, mi risponde
candidamente, “Non è lo stesso?”. “No, geometra, non è proprio lo stesso…”
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9) Il calcolo delle platee e i misteri esoterici
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All’Università non si erano dati la pena di spiegare come si calcola una platea (troppo difficile o troppo banale?
Chissà…), se non utilizzando delle difficilissime equazioni differenziali.
Avevo anche cercato, in una libreria specializzata, qualche testo che spiegasse come fare, ma non avevo trovato nulla
(mi ci sarebbero voluti anni per trovare un libro esauriente sull’argomento). Avevo chiesto ad un collega, il quale mi
aveva spiegato come faceva lui, ma mi era sembrata una tecnica un po’ troppo arbitraria. Un altro mi aveva suggerito
un metodo che secondo me era del tutto sbagliato.
Dopo qualche tempo ho conosciuto un altro ingegnere, mio coetaneo, che faceva calcoli per una importante impresa
edile. Frequentavamo entrambi lo stesso gruppo di amici ed una volta è capitato che l’ho accompagnato a casa e ne
ho approfittato per porre la fatidica domanda. All’inizio era reticente, ma poi, visto che insistevo, si è avvicinato al mio
orecchio e guardandosi intorno per controllare nessuno ascoltasse, mi ha spiegato quello che in ogni caso era scritto in
tutti i libri e che non serviva mai all’atto pratico e poi, con fare ancora più circospetto si era lasciato andare a confidare il
“segreto” sussurrandomi nell’orecchio: “Sai, il prof. T. ci ha raccomandato di non far mai lavorare l’acciaio a più di
1800!”. Alla ovvia richiesta del perché si è quasi offeso, e mi ha risposto che l’aveva detto LUI e quindi così si doveva
fare: non sapevo ancora, all’epoca, che per qualcuno il calcolo strutturale fosse una questione esoterica.
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10) Le norme, queste sconosciute
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“Ma come, Ingegnere non sa che la cappa deve avere uno spessore di 5 cm?”. “Ma, veramente, la normativa prevede
che lo spessore sia di 4 cm!”. “ Ma no, è uscita una norma nuova!”. “A sì? Va bè, controllerò..” . A me piace dire cose di
cui sono assolutamente certo, e penso che anche gli altri facciano lo stesso, perciò, piuttosto turbato, anche se avevo
ostentato la solita sicurezza, torno in studio di corsa e, non esistendo Internet, tiro fuori tutti i libri che avevo
sull’argomento: niente! Chiamo tutti i colleghi che conosco: nessuno ne sapeva niente. Corro in libreria a cercare le
ultime edizioni dei testi: ancora niente! Ho continuato per mesi a seguire l’eventuale uscita di nuove norme, ma niente.
Da allora sono passati una ventina di anni e le norme, quelle vere, sono cambiate due o tre volte, ma sto ancora
aspettando di veder comparire l’obbligo normativo enuciato con tanta sicumera da quell’uomo. Da quella volta,
comunque, sono sempre attentissimo ad avere l’ultima versione di qualsiasi documento….
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11) La scala sul fosso
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La colonna in calcestruzzo che sosteneva la scala esterna era decisamente staccata dal muro al quale avrebbe dovuto
essere aderente. I rilievi che avevo fatto evidenziavano che la causa era una leggera rotazione della fondazione. La
cosa non era grave, ma risultava decisamente antiestetica.
Cercando di capire le cause del fenomeno, che mi risultava inspiegabile, visto che le prove geotecniche indicavano la
presenza di terreno compatto, ho chiesto al geometra che aveva seguito i lavori se durante lo scavo avesse notato
qualcosa di particolare. “Bè”- mi dice-“quando abbiamo scavato ho visto che era terra molto sciolta”. “E tu cosa hai fatto
allora?”, “Ho fatto scavare di più!”,”Bene, e hai trovato terra migliore?” “No”, “E allora cosa hai fatto?” “Niente! Pensavo
cha bastasse essere andati più sotto!”.
Sconfortato da queste risposte, sono andato dal Committente per spiegargli la situazione. Lui, dopo aver attentamente
ascoltato, mi dice: ”Mah, sarà forse perché li c’era un fosso che ho fatto interrare l’anno scorso?”. E sì, forse, ma solo
forse.
12) Ma quanto porta un palo?
Quando si passa l’esame di Geotecnica e quello di Tecnica delle Fondazioni, si pensa naturalmente di poter affrontare
qualunque tipo di fondazione.
Ma i manuali Italiani si copiano uno con l’altro e mancano sempre alcuni riferimenti pratici per potere applicare
veramente quello che viene spiegato: o manca una tabella di coefficienti, o non si trova il grafico, o manca una specifica
tipologia, sempre quella che interessa, ovviamente. Per me è stata una vera rivelazione scoprire che un manuale
americano, al contrario, dopo aver illustrato tutte le teorie, spiegava dettagliatamente il loro modo di applicarle e poi
suggeriva quale fosse migliore.
Forte di questo supporto, avendo anche avuto l’occasione di vedere come operavano altri illustri professionisti, avevo
progettato dei pali.
Parlando con l’Impresario, mi ero lasciato scappare che i pali da realizzare portavano 33 t. Lui era impallidito e aveva
risposto che il tipo di pali in appalto, che erano pali battuti, portavano 20, al massimo 25 t. Lo avevo assicurato,
ostentando sicurezza, che avevo fatto i calcoli secondo i metodi più accurati e poteva stare tranquillo. Poi, tutto rosso e
sudato per l’ansia che aumentava di minuto in minuto, mi ero precipitato in studio, avevo tirato fuori tutti calcoli,
riguardato tutti libri e tutti i grafici passando tutto il giorno a rivedere ogni singola operazione, temendo di aver
dimenticato o sbagliato qualcosa. Alla fine, dopo avre ricontrollato tutto, non avevo trovato nulla fuori posto e me ne ero
andato a casa proprio tranquillo.
Il giorno dell’inizio dei lavori, l’Impresario mi telefona, allarmatissimo, dicendo che secondo l’operatore, sulla base delle
prove di infissione, il palo portava 20 t. Mi mostro scettico, mi trascrivo i dati e assicuro che avrei richiamato dopo un
po’. Prendo il libro, cerco le cosiddette formule dinamiche per la previsione della portata dei pali battuti e prendo la più
nota, quella che evidentemente aveva usato l’operatore. Orrore! Effettivamente la formula non dava speranze. Dopo
qualche minuto di panico totale, durante il quale ho considerato tutte le ipotesi, anche il suicidio per disonore, ho
cominciato a guardare meglio la formula, osservando che l’autore diceva di impiegare un coefficiente di sicurezza da 4 a
8 (non soltanto 8 come diceva l’operatore): era evidente che valori così alti indicavano che la formula non era poi così
affidabile e che tra i due numeri ci stava di mezzo di tutto. Addirittura, con il coefficiente più piccolo, non risultava così
lontana la portata che avevo previsto. Girando le pagine con un po’ più di calma, scopro che di formule simili ce ne
erano moltissime, e tra queste, una tra le più recenti impiegava gli stessi dati, ma con coefficienti decisamente più bassi,
e forniva come risultato lo stesso valore che io avevo predetto. Così tranquillizzato, ho telefonato all’Impresario, gli ho
spiegato che l’operatore usava una formula superata e che poteva assolutamente procedere con i lavori di
palificazione.
Finalmente era arrivato il giorno della prova di carico sui pali. Vado in cantiere con una certa inquietudine, che per la
verità mi perseguitava fin dall’inizio, visto che il mio operato veniva costantemente messi in dubbio: ormai i pali erano
fatti e se la prova non fosse andata a buon fine, pensavo che la mia carriera di ingegnere sarebbe finita lì: ma perché
avevo voluto fare tutto da solo e non ero andato da uno specialista?
Comincia la prova, e vedo un indicatore che comincia a scorrere velocissimo, come quello che indica la quantità di
benzina che si sta mettendo nel serbatoio. Sempre più agitato, continuo a fissare quei numeri che scorrevano e
comincio a figurarmi il palo che affonda senza speranza nel terreno. Decine di milioni di lire di danni per colpa mia,
considero l’idea di allontanarmi e correre a nascondermi. Poi però mi guardo intorno e vedo che il tecnico continua ad
agire tranquillo. Prendo coraggio a due mani e gli chiedo cosa indicasse quel numero che si muoveva con tanta
rapidità. “Ah, quelli, sono i decimillesimi di millimetro, praticamente il palo non si sta abbassando per niente!”. Devo
essermi sollevato da terra, quella volta.
Il resoconto della prova era ottimo e confermava le previsioni di progetto: infatti il fabbricato costruito su quei pali è lì
ormai da 15 anni e non ha mai avuto problemi. Tutta questa evidenza, però non è bastata a convincere l’Impresario,
che una volta, dopo molti anni e proprio davanti al Committente, ha cominciato a dire che lui sapeva bene che i pali non
portavano quanto necessario e che la prova era stata aggiustata per dimostrare il contrario: per fortuna il Committente
era una persona razionale.
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13) Gli esami non finiscono mai
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In una ristrutturazione in centro il progetto prevedeva l’abbattimento di un muro per realizzare una grande sala unendo
due stanze. Era un fabbricato vecchio di cui era difficile riconoscere lo schema statico, anche perché molti degli
appartamenti soprastanti non erano accessibili. C’era fretta e perciò avevo considerato l’ipotesi peggiore, immaginando
che il muro da abbattere fosse portante di tutta l’area interessata. Ne era risultato una altissimo architrave metallico
sostenuto da due robuste colonne su nuove fondazioni: il tutto appariva decisamente esagerato, ma data la fretta di
procedere, al Committente andava bene così.
Dopo qualche tempo erano apparse delle fessure nella muratura sovrastante, in un appartamento di proprietà di un
dottore, e perciò ero stato convocato nell’appartamento per tranquillizzare i proprietari, angosciati da quanto successo
pochi mesi prima a Foggia, dove si era sbriciolato un condominio provocando moltissime vittime.
Prima dell’incontro avevo eseguito dei rilievi e constatato che l’architrave era talmente sovradimensionato che non si
era nemmeno inflesso. Giunto all’incontro convinto di rasserenare i proprietari, il dottore e sua moglie mi presentano un
ragazzo loro nipote, insistendo, con enfasi magnificente, che “….VENIVA DALL’UNIVERSITA’ DI ROMA!”. Io avevo
cominciato a presentare i risultati sulle misure della deformazione della trave concludendo che non c’era nessun segno
di cedimenti. Mi sembrava un argomento decisivo, ma il ragazzo, come se non avesse sentito nulla di quello che avevo
detto, aveva cominciato un lungo eloquio su tutto quello che a parer suo non andava, con i suoi parenti che annuivano
entusiasticamente ad ogni parola. Il tutto poi, si riduceva ad una serie di domande sul fatto di come avessi fatto i calcoli
senza che mi si desse l’opportunità di rispondere. Alla fine il ragazzo se ne era uscito con la bizzarra affermazione che
aprire architravi di apertura di oltre 5 m “….E’ PROIBITO DALLA LEGGE!”. A quel punto, incapace di stare ancora a
sentire, ero sbottato dicendo che era evidente che alla sua Università di Roma gli avevano dato delle dispense non
aggiornate, scatenando così l’inviperita furiosa reazione del dottore e di sua moglie.
Concluso così malamente il primo incontro, il dottore aveva allora pensato di chiamare i Vigili Urbani, i quali a loro volta
avevano chiamato i Vigili del Fuoco. Questi, dopo una attenta ispezione, avevano stabilito che le fessure non avevano
alcuna rilevanza statica. Quindi (si fa per dire), il dottore aveva pensato di chiamare un altro ingegnere per accertare il
mio operato (il ragazzo di prima intanto era misteriosamente scomparso). Questo ingegnere, esaminati i miei calcoli e il
lavoro compiuto, aveva concluso che l’architrave avrebbe potuto sostenere una cattedrale. Il dottore, immagino
incredulo delle conclusioni del tecnico da lui stesso incaricato, aveva perciò chiamato un altro ingegnere, questa volta
qualificato, con la solita enfasi minacciosa, come “….IL PIU’ ESPERTO PERITO DEL TRIBUNALE!”. Anche quest’ultimo
tecnico, tuttavia, non aveva trovato niente di sconveniente nel mio operato, e perciò (si fa sempre per dire), dopo che i
VVF, e altri due ingegneri erano arrivati alle medesime mie conclusioni, il dottore, terrorizzato dalla certezza di un crollo
imminente, ha preferito vendere l’appartamento e trasferirsi altrove (non senza aver preteso da me una liberatoria sulla
natura delle fessure che erano comparse).
Il fabbricato, comunque, è ancora lì e l’appartamento è occupato, serenamente, da altri abitanti.
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14) All’inizio del terzo millennio
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Che l’Italia sia sempre un po’ indietro rispetto al resto del mondo occidentale si sa, ma quando si tocca con mano si
rimane sempre male. Correva l’anno 2000 e dovevo trovare una normativa particolare che riguardava le botole
antiscoppio. L’Ente nazionale per le normative, l’UNI, ce l’aveva, ma bisognava mandare un fax di richiesta, aspettare
che venisse spedito un fax di risposta con l’indicazione esatta del costo, pagare un bollettino postale di cui spedire la
ricevuta all’UNI, aspettare che venisse effettuata la spedizione. Se tutto andava bene, ma proprio bene, ci volevano
dalle due alle tre settimane: a quel tempo Internet, per l’UNI, non esisteva. Avevo fretta, e sapevo che i tedeschi
normano tutto, così ho cercato su internet ed ho trovato la norma DIN, che i tedeschi, pubblicavano non solo in tedesco
ma, astutamente, anche in inglese. Si doveva fare un bonifico, di cui si mandava copia via fax, e poi mi avrebbero
mandato la norma con corriere espresso: tempo totale tre giorni. Poteva anche andare, ma avevo letto che gli americani
avevano una norma sostanzialmente identica. Ho cercato allora su Internet, ho trovato subito il sito dell’NFPA, l’ente
americano che si occupa delle norme antincendio, ho pagato con carta di credito ed ho ricevuto il pdf. Tempo della
procedura da quando avevo fatto l’ordine a quando ho cominciato a leggere la norma: 5 minuti.
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